Imparare a riconoscere le
vocalizzazioni degli animali, come si è già detto, è
molto utile per gli appassionati di natura, per i
birdwatchers, per i fotografi naturalisti, per gli
ornitologi. Ma memorizzare un grande archivio di
vocalizzazioni richiede molto tempo ed esperienza;
purtroppo non esiste una tecnica miracolosa per
memorizzare rapidamente un elevato numero di
vocalizzazioni, a meno che non apparteniate a quella
piccolissima fetta della popolazione umana dotata di una
memoria stupefacente. Nei paragrafi successivi verranno
illustrati alcuni trucchi che possono facilitare la
memorizzazione delle vocalizzazioni animali.
La memoria passiva è una
delle tecniche più potenti che possiamo utilizzare per
memorizzare le vocalizzazioni; bisogna crearsi delle
playlist non troppo lunghe, ad esempio di 10-20
vocalizzazioni ciascuna (ad esempio scaricandole da
appositi
siti web)
rinominandole con il nome della specie, e quindi
ascoltarle di continuo, abbinando sempre il nome della
specie alla vocalizzazione; a forza di ascoltare e
riascoltare il nostro cervello memorizzerà passivamente
l’abbinamento tra il nome della specie e la
vocalizzazione.
L’ideale sarebbe avere
delle playlist dove di volta in volta, prima di ciascuna
vocalizzazione, una voce pronunci il nome della specie,
così da poterle ascoltare in modo ancora più passivo
mentre si fanno altre attività.
I canti possono essere
descritti anche linguisticamente, come spesso avviene
nelle guide di riconoscimento degli Uccelli o di altre
specie di animali. Non esiste un sistema standardizzato
questo tipo di descrizioni e ognuno si può creare il
suo. Quando si ascolta un nuovo canto o quando si cerca
di memorizzare una nuova vocalizzazione ascoltandone la
registrazione la si può classificare mentalmente
utilizzando una descrizione linguistica; ad esempio il
“ki ki ki” ripetuto di alcune specie come il torcicollo
o lo sparviere, il “chiù” di un assiolo, l’urlo di una
poiana “hijeh”, il grido di allarme “tic” di un Merlo e
così via. Ad aiutare questa “trascrizione” linguistica
spesso aiutano anche i nomi stessi di alcune specie di
uccelli che sono onomatopeici cioè somigliano al loro
stesso verso: è questo il caso dell’Assiolo, detto anche
“chiù”, dell’Upupa (il suo tipico canto è infatti “upupup”),
del Luì piccolo e così via.
Cercare di imitare le
vocalizzazioni è di grande aiuto; anche se lo si fa in
modo impacciato consente comunque di creare un
collegamento mentale tra la vocalizzazione che si
ascolta e una sua “descrizione” linguistica che
utilizziamo per imitarla.
Le vocalizzazioni possono
anche essere paragonate, certe volte, a dei rumori
artificiali o strumenti musicali che conosciamo: il
verso di richiesta di cibo (“Begging Call”) dei giovani
gufi comuni ad esempio è simile a una trombetta, i
Picchio rosso maggiore tambureggia, la Poiana urla, il
Biancone o il Falco pecchiaiolo fischiano e così via.
Raggruppare le
vocalizzazioni che pian piano si imparano in gruppi
simili, prendendo come riferimento le vocalizzazioni che
già si conoscono è estremamente utile. Ad esempio, se
sentiamo il verso di un Torcicollo che non conosciamo,
un “ki-ki-ki-ki” acuto e ripetuto potremo memorizzarlo
come il canto di una specie che già conosciamo come ad
esempio lo Sparviere o il Picchio verde, e questo ci
renderà più facile successivamente indagare negli
archivi per capire a chi possa appartenere. Allo stesso
modo il canto di una Tordela può essere memorizzato come
simile a quello del Merlo ma con motivi più semplici e
brevi emessi generalmente con delle pause e il canto del
Luì grosso può ricordare quello di un Fringuello ma è
molto più flautante e morbido.
Con studio impegno ed
esperienza si può anche imparare a “creare” mentalmente
una immagine della vocalizzazione come fosse un
sonogramma così da poterlo poi confrontare con i
sonogrammi di riferimento nella propria collezione o su
un libro o su un sito; si parte dal descrivere il canto
in funzione della sua struttura per poi immaginare che
tipo di traccia lascerebbe ogni componente in un
sonogramma. Ad esempio il canto di un Tordo bottaccio,
nonostante sia piuttosto complesso e variabile può
essere descritto come un insieme di brevi motivi,
ripetuti 2-3 volte con tonalità alte e con un passaggio
spesso improvviso tra l’uno e l’altro; il canto di un
Fringuello invece si può descrivere come una sequenza di
trilli il cui tono decresce da uno all’altro, con una
nota finale in crescendo. Conoscendo poi in che modo una
nota, un trillo, un gorgheggio vengono rappresentati in
un sonogramma ci si può quindi creare una sorta di
immagine mentale del canto che si è sentito.
La conoscenza delle
abitudini e della bio-eco-etologia delle specie aiuta
molto nel riconoscimento perché consente di escludere
determinate specie dalla lista di specie probabili. In
particolare è importante conoscere:
-Fenologia: sapere se una
specie è svernante regolare, migratrice o stanziale
consentirà di escludere tale specie nei periodi in cui
non dovrebbe trovarsi nel nostro territorio. Quando si
sente un “ki-ki-ki-ki-ki” ripetuto, ma è pieno inverno,
sicuramente potremo escludere il Lodolaio e il
Torcicollo che sono specie migratrici, e potremo
concentrarci solo su Picchio verde, Picchio rosso minore
e Sparviere.
-Habitat e distribuzione
altitudinale: anche questo parametro è utilissimo per
filtrare le specie; conoscere gli habitat e il range di
altitudine a cui una specie vive facilita il
riconoscimento. Se ci troviamo in un bosco di collina,
di notte e sentiamo un verso acuto e stridulo, molto
probabilmente sarà quello di una femmina di allocco e
non di una civetta (che solitamente preferisce habitat
con zone aperte preferibilmente in campagna).
Il periodo in cui gli
animali sono più attivi dal punto di vista vocale è
sicuramente quello riproduttivo; per la maggioranza
delle specie di uccelli questo periodo corrisponde alla
primavera, sebbene molte specie, ad esempio certi rapaci
notturni e diurni, inizino la loro stagione riproduttiva
molto in anticipo e dunque anche le loro vocalizzazioni
si possono ascoltare già in inverno, è il caso del Falco
pellegrino, dell’Allocco, del Gufo reale; tra i
Passeriformi le specie stanziali iniziano con anticipo
l’attività riproduttiva rispetto alle specie migratrici
e così il Merlo, la Cinciallegra, la Capinera, per
esempio iniziano già in marzo a diffondere i loro canti
territoriali; in estate rimangono poche le specie ancora
più o meno attive vocalmente, si sentono molto i
richiami dei giovani un po’ di tutte le specie, ma i
maschi smettono pian piano con i loro canti
territoriali; in autunno molte specie migratrici sono
già ripartite, le specie stanziali non vocalizzano molto
con qualche eccezione ad esempio i giovani di allocchi e
civette sono molto attivi vocalmente, le coppie di gufi
reali spesso duettano anche in autunno per rafforzare il
legame di coppia, tra i Passeriformi il Pettirosso si
sposta nei territori invernali della pianura e torna ad
essere molto attivo vocalmente emettendo il tipico canto
territoriale per marcare i nuovi territori di
svernamento (anche di sera o di notte, in ambienti
urbani molto illuminati). I Mammiferi hanno periodi
diversi per la riproduzione, in base alle specie, per
fare qualche esempio: i Cervi per esempio emettono le
loro vocalizzazioni (bramiti) tra fine agosto e
settembre, i Daini in Ottobre, le Volpi si possono
sentire nelle sere di febbraio/marzo, i Ghiri
vocalizzano al massimo nel mese di Agosto/Settembre.
A livello di
apprendimento bisogna mantenersi allenati perché una
volta che i migratori ripartono, non si sentiranno più i
loro versi fino alla successiva primavera e si rischia
di dimenticarli per questo è utile riascoltare le loro
registrazioni anche in inverno così da tenere la memoria
allenata.
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